L’Europa ritrovi i suoi valori costitutivi

Piergiorgio Gilli da 50 impegnato nella cooperazione internazionale: chi fugge dall’Africa non lo fa solo per fame. Si fugge anche dalla mancanza di democrazia, dalle ingiustizie sociali, dall’assenza di prospettive. L’Europa ha tagliato del 70% negli ultimi vent’anni i fondi per la cooperazione allo sviluppo e i soldi dati a Stati dove impera la cleptocrazia (il potere dei ladri) alimentano la corruzione.
“È famoso il caso di un signore camerunense che, diventato ricco in Francia, va in vacanza nel suo Paese di origine dove un infarto costringe i suoi familiari a portarlo di corsa in ospedale. Qui ai suoi accompagnatori vengono richieste, in anticipo e in contanti, varie somme: per aver accesso al medico, per la visita, per il ricovero, per il letto e le coperte, per i medicinali… i familiari esibiscono all’ospedale varie carte di credito dell’infartato… niente: ci vogliono i contanti. La caccia a questi ultimi diventa frenetica ma inutile: il poveretto nel frattempo muore”.
Piergiorgio Gilli, presidente della ONG Sviluppo e Pace, che proprio quest’anno (2018 ndr) compie 50 anni, ha ormai una lunga esperienza di quello che il giornalista francese Alfred Savsy battezzò, nel 1957, Terzo Mondo.
Una lunga e generosa militanza in una delle ONG torinesi più stimate in Italia per l’impegno, il disinteresse, l’efficacia di tanti micro e medi progetti realizzati. È lui che ci racconta il tragico aneddoto.
Migranti, o fuggiaschi, sarebbe meglio dire, perché alla base delle migrazioni ci sono guerre, spesso civili, carestie, con corollario di miseria e fame. «Ma si fugge anche da pulizie etniche e persecuzioni, dalla mancanza di libertà e democrazia, dalle palesi ingiustizie sociali, dall’assenza di prospettive. Si fugge per il desiderio di migliorare la propria esistenza, impossibile da soddisfare in Paesi corrotti e affamati», dice.
«Un altro motivo per cui i giovani fuggono soprattutto dall’Africa sub sahariana sta nella frase che ho sentito ripetere più e più volte: ici l’état se degage de plus en plus (qui lo Stato si disimpegna sempre di più). Uno Stato cioè che non investe nei settori vitali per il popolo: sanità, scuola, lavori pubblici, agricoltura, spesso abbandonati a un privato di speculatori che serve le élite».
Aggiunge Gilli: «Ho letto che in Niger i bambini delle famiglie povere frequentano scuole pubbliche scalcagnate, con insegnanti da mesi non pagati e comunque con stipendi da fame, molto inferiori a militari e poliziotti. Le classi medie della capitale vanno in scuole private, mentre i figli delle élite nel liceo francese protetto da forze militari». In Niger come in Egitto dove si racconta che nelle scuole pubbliche delle campagne i maestri fanno svogliatamente lezione, poi propongono ai loro alunni lezioni private a pagamento, così da ottenere la promozione e arrotondano in questo modo un magrissimo salario.
«È così che oggi in Burkina Faso», aggiunge Gilli «solo il 29 % di chi ha più di 15 anni sa leggere e scrivere, 36,7% maschi e 21,6% femmine: tutti gli altri sono analfabeti. I lavori pubblici ovunque languono e non includono nemmeno più la manutenzione ordinaria di piste, strade, ferrovie, ospedali, scuole, porti ecc. ecc. L’esempio più drammatico è – forse – la Repubblica Democratica del Congo dove le piste dell’interno sono state rapidamente riprese dalla foresta e dove i collegamenti tra città non possono avvenire che con traballanti vecchi aerei (con i relativi proibitivi costi e rischi)».

Crescono i privilegi delle élite
In questi Paesi sono cresciuti negli ultimi anni i privilegi delle fameliche e insaziabili élite. Le classi dirigenti politiche non investono per rimuovere le barriere che impediscono alla povera gente di accedere ai servizi, mentre in questi campi prospera un privato riservato alle élite.

Ma L’Europa, l’Onu che fanno? Che cosa possono fare?
L’Europa ha tagliato del 70% negli ultimi vent’anni i soldi per la cooperazione allo sviluppo. E anche l’Onu è in gran parte assente. La verità è che la cooperazione istituzionale, fra Stati o organismi sovranazionali, si scontra con la corruzione dilagante in molti Paesi dove impera quella che io chiamo la “cleptocrazia” (cioè il potere dei ladri). Ladri di Stato collusi anche con imprese transnazionali. Si sa che i forzieri delle banche svizzere sono pieni di soldi della cooperazione istituzionale passati nelle tasche di presidenti e ministri e trasferiti in Svizzera.

Come aiutare?
Innanzitutto bisogna parlare conoscendo la realtà che hanno alle spalle questi fuggiaschi. E poi riavviare con adeguati finanziamenti la cooperazione fra popoli: dal 1975 fino al 2000 la Comunità Europea appoggiava una cooperazione “popolare”, in gran parte attraverso le cosiddette Organizzazioni non governative che serviva a due scopi: realizzare progetti di sviluppo adeguati alle realtà locali, sensibilizzare le nostre opinioni pubbliche e contemporaneamente far crescere la società civile laggiù. Poi arrivò un commissario alla cooperazione inglese che da Bruxelles definì sprezzantemente le ONG “organizzazioni non governabili”. Io dissi allora che ci aveva fatto un complimento. Ma poi cambiò la politica europea: gli aiuti che dà l’Europa passano ora dalle rappresentanze diplomatiche europee nei Paesi in via di Sviluppo. E gli ambasciatori europei devono agire di concerto con i governi locali. Spesso con i tristi risultati che ho detto prima: corruzione e arricchimenti di ristrette élite. Le organizzazioni non governative hanno un unica possibilità di accedere a fondi sempre più magri: fare progetti comuni fra Ong di almeno tre Paesi europei. E questo non è semplice.

Ma oggi le Ong, in Italia, non godono di buona fama…
Si tratta non di Ong che si dedicano alla sviluppo, ma alle emergenze e sono accuse tutte da dimostrare. La verità è però che da quando l’Italia si è data una legge sulle Onlus, nel 1997, c’è stata una enorme crescita di queste Onlus con il risultato che molte erano improvvisate e frutto di personalismi, così sono diventate tutte più deboli.

Che cosa possono fare le ONG
Facciamo l’esempio di Sviluppo e Pace: dove opera e come finanzia i progetti?
Noi finanziamo i nostri progetti quasi esclusivamente con donazioni di privati: cooperiamo con Ong locali, spesso di istituzioni religiose, che impiegano al 90% personale locale. Abbiamo a Torino un’unica persona assunta tutti gli altri sono volontari. Abbiamo progetti in Tanzania (costruzione di un centro di accoglienza per bambini di strada), in Camerun (un centro servizi per giovani), in Colombia (per gli indios Paechas), finanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana), in Burkina Faso, il più grosso, per un importo di 750mila euro per opere che vanno da pozzi per l’acqua a sistemi di irrigazione, un liceo agrario, banche dei cereali un dispensario medico… I nostri partner sono le Chiese locali che, penso ad esempio alle Conferenze dei vescovi di Camerun, Congo, Repubblica Centrafricana, sono spesso le uniche voci che denunciano corruzione e chiedono democrazia e aiutano il popolo con dispensari medici, scuole, promuovono cooperative agricole che si oppongono alla vendita indiscriminata di terre a grandi aziende cinesi, coreane, giapponesi, che impongono un nuovo colonialismo. Insomma sono partner credibili e affidabili e noi aiutiamo questi progetti condivisi con le popolazioni locali non calati dall’alto. Un difetto della cooperazione statale italiana è limitarsi a finanziare mega progetti, in pochi Paesi, grandi dighe, deviazioni di corsi dei fiumi che se da un lato producono grandi opere dall’altro provocano lo spostamento di popolazioni agricole a cui viene sottratta la terra.

Che fare allora?
Prima voglio dire che cosa non fare: non alimentare paure.

A chi dice che siamo invasi che cosa rispondi?
Dico che è una sciocchezza, ma che comunque chi ha fame non viene fermato dagli eserciti ma dallo sviluppo. E poi dico che bisogna andare a vedere, conoscere le situazioni, non parlare a vanvera, non scavalcare le popolazioni povere nel prendere iniziative. Alle nostre multinazionali energetiche o agroalimentari si può chiedere di agire equamente in quei Paesi (alcune già lo fanno).
Bisogna aiutare le aggregazioni di giovani e di donne, che sono le più pronte a reagire contro le ingiustizie. Bisogna che l’Europa esiga il rispetto dei diritti umani nei Pesi dove si impegna, controlli che fine fanno le risorse che si inviano. L’Europa ritrovi i suoi valori costitutivi, che erano anche spirituali e che ispirano umanità e giustizia. Infine lasciatemi dire una cosa da credente: mi pare che la morte di Dio provochi, prima o poi, anche la morte del prossimo.

Mondo di Amici 53

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