Dedicato ai bambini di Nanoro
Campo di lavoro e di amicizia aprile 2010
Eleonora Peretti
Sanata, Modeste, il piccolo Jean Claude Van Damme, Zaccaria, Herve, Issaka, Marina, Teeoca, Rassimanegre, Jean, Salif, Jonathan, Adam, Timoti, Pele, Ibrahim, Josephine, Isac… chi sono?
Bambini e bambine, ragazzi e ragazze.
Cosa fanno? Si svegliano presto e corrono a scuola e finito si ritrovano insieme per giocare.
E allora cos’hanno di speciale? Loro vivono in Burkina Faso e noi abbiamo avuto la possibilità di conoscerli grazie ai Fratelli della Sacra Famiglia di Villa Brea che ci hanno ospitato nella loro missione a Nanoro.
Sono ragazzi fantastici che tutte le mattine si alzano presto e vanno a scuola contenti di poterci andare, di poter imparare, di aver la possibilità di crearsi un futuro migliore. Ciò che più ci ha impressionati è stato vedere i gessetti con cui scrivono alla lavagna che, pur essendo lunghi come l’unghia di un mignolo, vengono usati fino a quando non rimane che polvere e i quaderni, anzi il quaderno, che viene usato per tutte le materie.
Malgrado le difficoltà di avere mezzi e strumenti per l’istruzione in classe non si sente un rumore, i loro quaderni sono fantasticamente ordinati ed esprimono la loro incessante voglia di imparare. Ma la scuola occupa solo in parte la loro vita, molti di loro lavorano a casa aiutando i genitori nei campi e si prendono cura di fratelli e sorelle minori.
Un bambino di sei anni che va a scuola non può solo pensare a studiare e badare a se stesso. Sanata e gli altri vanno a scuola e quando arriva il momento di mangiare formano una lunghissima coda ed uno per uno ricevono la loro porzione di riso e fagioli: noi ci aspettavamo di vederli mangiare in un battibaleno, ma loro hanno assaggiato il cibo, han tirato fuori dalla tasca il loro sacchettino di plastica nero e han svuotato lì il loro pranzo.
Mentre li osservavamo alcuni ci hanno offerto di mangiarne un po’ e ci hanno raccontato che quello era il pranzo dei loro fratelli più piccoli che non sono ancora abbastanza grandi per andare a scuola.
Vivendo una settimana insieme a contatto con la loro civiltà vieni travolto da emozioni contrastanti e fortissime: rabbia di non riuscire a far nulla che possa risolvere la situazione definitivamente; felicità per le possibilità che i Fratelli stanno offrendo loro con la costruzione di scuole, orfanotrofi, licei; impotenza davanti alla povertà; gratitudine per ciò che abbiamo; stupore per le differenze culturali e civili; ma un bambino che sorridendo ti tende la mano ti fa capire che l’unica cosa di cui han bisogno è di continuare a sperare e credere che piano piano la situazione cambierà e che magari un giorno potranno anche loro giocare a calcio con delle scarpe ai piedi e tirare calci ad un pallone vero e non a una bottiglia di plastica.
Oggi grazie ai Fratelli e al vostro aiuto hanno la possibilità di andare a scuola, di ricevere cure mediche nell’ospedale, di vestirsi, di lavorare e crescere.
L’augurio è che questa collaborazione continui e che magari si riesca a far aprire gli occhi a molti che ancora non conoscono cosa voglia dire vivere in paesi del terzo mondo.
A nome del gruppo di ragazzi dell’IST (International School Turin)
che sono stati in Burkina Faso ad aprile