Hotel Maternel, una grande esperienza

Campo di lavoro e di amicizia agosto 2009
Cristiana Rosso

 

Nella impronunciabile capitale del Burkina Faso (Ouagadougou), tra strade invase da ogni sorta di motorini e improvvisati mercatini, lungo le vie percorse da donne che portano sul capo qualsiasi cosa si possa immaginare e uomini seduti pigramente a chiacchierare, si può anche trovare un luogo d’amore.

L’Hotel Maternel, che nel nome stesso racchiude l’affetto per quei bambini che alla nascita ne hanno ricevuto così poco. È un orfanotrofio voluto dalla Regione Piemonte per accogliere una piccola parte di quei piccoli che, per varie ragioni, sono stati abbandonati. Si chiama “hotel” per trasmettere l’idea che la permanenza dei bimbi è solo temporanea, proprio come avviene negli alberghi, ed è il preludio a una auspicabile adozione.

Appena entrata sono stata sopraffatta da un senso di impotenza, da una sorta di frustrazione che mi ha fatto pensare quanto fosse ingiusto che delle creature così piccole, indifese e meravigliose non potessero godere dell’amore di una famiglia.
“In fondo sono fortunati”, mi ripetevo, “perché loro almeno avranno l’opportunità di essere adottati”. Ma prendere in braccio quelle piccole bambole e stringere le loro manine mi ha fatto capire tutto il loro desiderio di essere abbracciati e coccolati, e pensare di portarli via tutti con me è stata una naturale conseguenza.

In una delle stanze, quella dei più piccoli (le culle avvolte nelle zanzariere sono un’immagine che porterò sempre con me), ho incontrato Aisha. Immaginate la creatura più gracile ed indifesa, aggiungete due occhioni scuri e impauriti e avrete il suo ritratto. Aisha era stata da poco abbandonata e rifiutava di man-giare; per questo veniva nutrita attraverso un sondino posto nella narice.

È molto difficile pensare che qualsiasi essere umano, anche il più abbietto, possa aver deciso di rinunciare a vederla crescere. Bisogna però anche pensare a quali potessero essere le condizioni della madre di Aisha, condizioni tali da costringerla a compiere un gesto simile, condizioni comuni ad altre donne. Senza considerare le morti per parto, che a noi ricchi occidentali possono sembrare storie di un altro secolo ma che in Burkina Faso, come in tanti altri luoghi africani, sono ancora parte della quotidianità.

È anche piuttosto frequente poi che una ragazza madre venga ostracizzata dal villaggio in cui vive e addirittura ripudiata dalla famiglia stessa.L’hotel ospita un gruppo di ragazze che saranno lì per tutta la durata della gravidanza; viene loro insegnato a cucire o a lavorare a maglia, in modo che possano poi mantenere i loro bambini lavorando.

Nei loro occhi si legge forse un po’ di tristezza, ma ogni loro gesto è accompagnato da una dignità esemplare che spinge chi le incontra a provare ammirazione piuttosto che compassione. Stavo per uscire quando ho avuto un incontro, perdonate l’ossimoro, meravigliosamente straziante: una bimba mi è corsa incontro porgendomi un disegno.

La bimba si chiamava Jolie ed era sordomuta, ma nel suo sguardo c’era tutta la bellezza racchiusa nel suo nome. Per un’occidentale viziata come me è stato terapeutico scoprire che si può gioire anche solo per un sorriso, una stretta di mano, un abbraccio…

Quando stavo ancora agitando la mano in segno di saluto dalla jeep pensavo che le immagini e le sensazioni di quella giornata sarebbero state con me per molto tempo, e che il mio white man’s burden da quel giorno sarebbe stato un po’ più pesante.

Per chi se lo fosse chiesto: no, i singles non possono avviare pratiche di adozione, mi sono informata.

Per informazioni

 

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