Attività di volontariato svolta in Burkina Faso

Campo di lavoro e di amicizia agosto 2011
Federica Chiappero

Il campo di lavoro e amicizia in Burkina Faso al quale ho partecipato ha avuto una durata complessiva di 21 giorni, dal 2 al 23 agosto 2011.

L’associazione di tramite dell’esperienza è stata il Centro Missionario dell’istituto dei Fratelli della Sacra Famiglia di Chieri, che a partire dai primi contatti con una parte della popolazione Burkinabe, in modo particolare nel villaggio di Nanoro, ha sostenuto vari progetti in collaborazione con i partner locali, tra cui la realizzazione in 70 villaggi di pozzi mediante trivellazione e pompa manuale, sostegno al liceo agrario di Nanoro, recupero di aree degradate, riforestazione, sistema di invasi per l’abbeveraggio degli animali, distribuzione di alimenti, attrezzature agricole nelle scuole e alle famiglie più colpite dalla carestia in alcune località.

Prima della partenza sono stati svolti tre incontri di preparazione, dove abbiamo avuto modo di avere delle informazioni sulla situazione storica, geografica, climatica e demografica del Burkina Faso, oltre che degli accenni alla cultura e del vivo panorama di costumi e credenze, della quale l’istituto si occupa di diffonderne alcuni elementi attraverso il museo etnografico realizzato e dalla pubblicazione periodica di un rivista.

La dimensione del lavoro è stata una delle componenti del campo, che si è rivelato luogo di ridefinizione e riflessione sul concetto di “Terzo Mondo”, conoscenza e avvicinamento alla realtà attuale Burkinabe, per vivere un’esperienza di educazione all’interculturalità.

L’attività di gruppo ha occupato una buona parte del soggiorno, suddivisibile principalmente in due modalità di contatto con la popolazione e il territorio:

Lo spostamento e la visita di alcune località del Burkina Faso

Il villaggio di Bam, nella regione del Kongoussi (dov’è presente l’unico lago naturale del paese), e il vicino centro di accoglienza di donne fuggite da matrimoni forzati e da accuse di stregoneria; la capitale Ouagadougou, uno dei pochi centri urbani che ha visto un’espansione del suolo urbanizzato molto rapida dall’indipendenza nel 1960 e dove la ricerca dell’insediamento (temporaneo o permanente) da parte della popolazione, specialmente giovane e proveniente dai villaggi, risponde a una serie di esigenze di natura economica, sociale e culturale; alcune brevi soste nei paraggi di villaggi confinanti alla strada (che hanno aiutato a ridefinire il concetto stereotipato di villaggio e a vederne le caratteristiche concrete e contestuali); il passaggio e lo spostamento che hanno permesso di osservare il territorio di savana semi-desertica pianeggiante, le caratteristiche naturali di vegetazione, campi coltivati (in particolare miglio), animali di allevamento e selvatici (asini, capre, maiali, pollame, buoi…)

Permanenza nel villaggio di Nanoro

Svolgimento di attività in cooperazione con la popolazione locale (aggiustamento biciclette, aiuto a sistemazione di campi e aree degradate, attività nell’ospedale); partecipazione alla vita pubblica e a alcuni momenti di aggregazione sociale, coinvolgimento in vari momenti significativi comunitari, come il mercato (luogo di interazione e relazioni personali oltre che di scambio economico, punto di riferimento sociale di un territorio ampio), partecipazione alla messa, momento di festa, di musica e di espressione locale, rivisitazione del culto cristiano e adattamento ai valori tradizionali attraverso più elementi della cerimonia, momenti di socializzazione con i bambini, partecipazione a feste musicali e a balli comunitari durante la sera; visita e scambio di fraternità reciproca con il capo tribù (gruppo “etnico” Mossi) durante il momento significativo del pasto a noi offerto di cibi locali.

Lo spazio di contatto e scambio personale non è mancato

In particolare ho vissuto l’esperienza di spostarmi nella savana e raggiungere attraverso la natura e non con il tramite di strade e raggiungere parti del villaggio e abitazioni dove l’incontro breve e senza il tramite comunicativo del linguaggio, ma intenso, con le persone, adulti e bambini, è stato totalmente diverso nel modo di relazionarsi di quello incontrato negli abitanti dei villaggi vicini, sicuramente più abituati alla relazione con gli europei.

Inoltre molti e molto importanti per lo sviluppo di una riflessione (con l’aiuto dei concetti e gli studi antropologici alle spalle) sono stati i confronti e i discorsi personalmente avuti con qualche abitante di Nanoro, che ho potuto conoscere tramite i fratelli della Sacra Famiglia, e con i quali, seppur senza una preparazione metodica o analitica di intervista e senza l’intenzione di attuare un tipo di ricerca su campo, ho toccato degli argomenti riguardanti alcune credenze profondamente radicate nella vita sociale, oltre che un discorso molto ampio sul contatto pieno di fenomeni complessi con l’occidente, in misura di cambiamenti istituzionali e strutturali e allo stesso tempo intimi e personali.

Oltre a questi incontri espliciti, tante sono state le forme di trasmissione e i “segni” che mi hanno portata a comprendere in parte le significazioni simboliche che sono radicate nella popolazione Burkinabe, sicuramente in modo disordinato e frammentario (oltre che non approfondito per la breve durata dell’esperienza), in particolare i ruoli di genere, i comportamenti e le relazioni pubbliche segnate da un impersonale rispetto reciproco, una distanza dal contatto e un portamento che valorizza la dignità della persona, la concezione e i comportamenti sociali alla morte di persone considerate come importanti (festa annuale di ringraziamento della presenza passata della persona interessata), ruolo attivo nell’aiuto di produzione e attività agricole dei bambini (soprattutto delle bambine) in età già giovane, legame di stretto contatto permanente tra le mamme e i bambini ancora piccoli e non indipendenti… tali osservazioni, talvolta rielaborate dopo qualche tempo, mi hanno profondamente segnata nel pensare al “ruolo occidentale” e al suo mutamento nel contatto con forme culturali “premoderne”, alla difficoltà, per la maggiore e più realistica comprensione e l’avvicinamento, di sovrapporre concetti occidentali a quelli che fondano tali società.

Per informazioni

 

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